Recensione di "Io Capitano" di Matteo Garrone

Questo film narra una storia quotidiana, una storia diversa da quella che arriva sui nostri schermi all'ora di cena. Racconta il viaggio di due ragazzi che partono dal Senegal con il sogno di raggiungere le coste dell'Europa e riuscendo a raccontare la crudeltà del mondo attraverso le difficoltà che esso comporta. Vengono toccati valori e sentimenti che rendono tale un uomo: famiglia, speranza, religione, compassione verso il prossimo, lotta e unione. lo capitano va oltre la politica ideologica e lascia raccontare la verità dell'odierna tragedia africana. Tuttavia, non è una comune storia di sconfinamento, mostra un lato non noto del dramma umano riprendendo il mito dell'eroe omerico attraverso influssi fantasy: analogamente a quello di Ulisse nell'Odissea, il viaggio dei protagonisti Seydou e Moussa è inteso come un percorso di cambiamento fisico ma anche metafisico e spirituale.
Garrone, il regista, stravolge - in pochi e pertinenti segmenti - la cruda realtà per sublimarla in una dimensione fantastico-immaginativa tramite sciamani, angeli e allucinazioni che colmano di poeticità la rigidezza preponderante della pellicola. Seydou chiude gli occhi tre volte: la prima volta sogna che la donna che ha dovuto abbandonare morente nel deserto gli voli accanto come un jinn protettivo (un'entità soprannaturale, intermedia fra il mondo angelico e l'umanità citata nel Corano);
la seconda volta, nella prigione libica, appare un angelo messaggero che gli permette di comunicare con la madre desolata in Senegal;
la terza, in cui la sua maturità culmina mediante la sua determinante responsabilità nel condurre verso il salvataggio le numerose anime che devono espiare, come quelle del Purgatorio dantesco, una pena temporanea fino alla loro salvezza a bordo del barcone. Riapre gli occhi e vede la costa siciliana, ma è l'unica volta in cui non è un sogno illusorio e consolatorio.
Io Capitano è un film spettacolare, crudo, pesante ed è un inno alla vita espresso dalla rappresentazione di quel delicato ma, qui più che mai, ingiustamente travagliato passaggio fra la spensieratezza della giovinezza e le responsabilità dell'età adulta ("coming of age").
Garrone in questo film non prova a suscitare la cosiddetta "lacrima facile" dello spettatore, non vuol essere troppo artificioso né avvicinarsi ai numerosi documentari recenti che trattano l'argomento. Questo lungometraggio è un'opera grandiosa che ha il fine di sensibilizzare le menti di chi per nascita detiene la fortuna e i privilegi sottratti, al contrario, a centinaia di migliaia di esseri umani che sono sottoposti a sacrifici e morte, pur di raggiungerli.
È un'opera che finalmente umanizza un fenomeno che è quasi costantemente sminuito e trattato come strumento politico. La regia è semplice, d'impatto, funzionale alla storia. La sceneggiatura a otto mani di Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri è di alto livello. II ritmo non è mai né troppo veloce né troppo lento e, di conseguenza, la durata di due ore non è stata affatto disagevole. La fotografia di Paolo Carnera è l'elemento maggiormente affascinante di questo film, in quanto è riuscito a catturare in modo preciso un'atmosfera che combacia con quella della narrazione - come, ad esempio, la pericolosità dell'interminabile deserto, i cadaveri lasciati nel nulla assoluto - esaltando le emozioni dei personaggi in maniera sublime. La scelta della lingua originale favorisce l'immersione dello spettatore a cui offre di sviluppare nel corso della proiezione una profonda forma di empatia e presa di coscienza riguardo l'epoca e la società in cui viviamo.
Riflettere sul fatto che questa catastrofe avvenga quotidianamente è straziante al tal punto da far sorgere il desiderio di non rivederlo una seconda volta, eppure lasciando lo spettatore consapevole e soddisfatto di averlo fatto. L'Italia e il resto del mondo, oggi più che mai, hanno bisogno di questo film per ricordare che "quelli che arrivano sui barconi" sono esseri umani con una storia, degli affetti, delle paure, proprio come chi potrebbe star seduto al cinema a ritenerlo psicologicamente inappropriato e "troppo pesante" per le crude immagini e il senso di colpa non indifferente e lacerante che trasmette.
Il finale, apparentemente incompleto, lascia immaginare le modalità di accoglienza dell'Italia e del resto d'Europa, anticipandole già dal mancato soccorso richiesto in precedenza dal giovane capitano che con tono risoluto afferma: "Ho capito che voi non volete salvarci", continuando speranzoso a procedere verso Nord.
La domanda che dovremmo porci è perché mai uomini come Seydou, nonostante continui maltrattamenti e disgrazie della loro triste vita, marcata dal bisogno di lottare per diritti che spetterebbero loro sin dalla nascita, riescano a mantenere il proprio spessore umano, e a non diventare bestie pur subendo delle bestialità.

Ammirevole è il fatto che non si incattiviscano e si mantengano integri in un mondo in cui la loro vita non vale più di quella di un batterio, mentre uomini totalmente privilegiati sono così moralmente effimeri da sentire la propria sicurezza oltraggiata dalla paura di essere invasi da possibili "barbari".
L'azione più solidale, invece, potrebbe essere quella di cercare di risolvere drammi umani col semplice gesto di prestare soccorso verso chi ha lo stesso ed equo diritto di esser trattato con pari dignità di un loro caro.

(Matteo Garrone, Seydou Sarr, Moustapha Fall, Massimo Gaudioso agli Oscar 2024)